Le norme attuative della riforma del Terzo settore modificano le regole in materia di imposte sui redditi. Più specificamente, vengono definite le attività che si considerano di natura non commerciale e, pertanto, che mantengono un trattamento fiscale di favore. Si introduce un nuovo regime forfetario, in base al quale gli enti del Terzo settore possono optare per la determinazione del reddito d’impresa applicando all’ammontare dei ricavi conseguiti nell’esercizio delle attività “istituzionali”, quando svolte con modalità commerciali, un coefficiente di redditività e aggiungendo l’ammontare di plusvalenze patrimoniali, sopravvenienze attive, dividendi e interessi e proventi immobiliari.
Con il Codice del Terzo settore prende corpo anche l’impianto fiscale che regolerà il mondo no profit nei prossimi anni. Si tratta di una revisione organica con cui si vuole dare maggiore certezza in merito a quali siano le attività “istituzionali”, meritevoli di essere agevolate dal punto di vista fiscale e quali, invece, siano le attività “commerciali” che, rientrano nelle consuete regole applicabili alle imprese (anche se, su questo aspetto viene introdotto un nuovo regime forfetario).
Per capire meglio come cambierà il quadro normativo, può essere utile partire dalla situazione attuale. La disciplina previgente
In base all’art. 73, comma 4, TUIR, la qualifica di ente non commerciale deriva dall’oggetto esclusivo o principale dell’ente.
L’oggetto principale è determinato in base alla legge, all’atto costitutivo o allo statuto, se esistenti in forma di atto pubblico o di scrittura privata autenticata o registrata. Per oggetto principale si intende l’attività essenziale per realizzare direttamente gli scopi primari indicati dalla legge, dall’atto costitutivo o dallo
statuto.
Nel caso di enti non commerciali non residenti, si fa comunque riferimento all’attività effettivamente esercitata nel territorio dello Stato.
Per quanto riguarda la determinazione del reddito di questi ultimi, la disciplina è stata recentemente modificata dal D.Lgs. n. 147/2015 (Decreto internazionalizzazione), con effetto dai periodi d’imposta in corso al 7 ottobre 2015.
In particolare, per le società ed enti commerciali non residenti il reddito complessivo derivante da attività svolte nel territorio dello Stato mediante stabile organizzazione, è formato soltanto dai redditi prodotti nel territorio dello Stato, ad esclusione di quelli esenti da imposta e di quelli soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta o ad imposta sostitutiva.
Si considerano prodotti nel territorio dello Stato i redditi indicati nell’art. 23 TUIR.
Il reddito complessivo degli enti non commerciali è determinato secondo le disposizioni del Titolo I del TUIR, ad eccezione dei redditi d’impresa di cui all’art. 23, comma 1, lettera e), TUIR, ai quali si applicano le disposizioni dell’art. 152 TUIR.
Dal reddito complessivo si deducono, se non sono deducibili nella determinazione del reddito d’impresa che concorre a formarlo, gli oneri indicati all’art. 10, comma 1, lettere a) e g) – rispettivamente, canoni, livelli e censi e contributi in favore delle ONG.
Dall’imposta lorda si detrae, fino alla concorrenza del suo ammontare, un importo pari al 19% degli oneri indicati all’art. 15, comma 1, lettere a), g), h), h-bis ), i), i-bis ) e i-quater), TUIR (rispettivamente, interessi passivi su prestiti e mutui agrari, spese per manutenzione, protezione o restauro delle cose vincolate, erogazioni liberali in denaro a favore dello Stato, delle regioni, ecc., erogazioni liberali in denaro, per importo non superiore al 2% del reddito complessivo dichiarato, a favore di enti o istituzioni pubbliche, fondazioni e associazioni legalmente riconosciute, contributi associativi, per importo non superiore a 2 milioni e 500 mila lire, versati dai soci alle società di mutuo soccorso e erogazioni liberali in denaro, per importo non superiore a 4 milioni di lire, a favore delle associazioni di promozione sociale).
La detrazione spetta a condizione che i predetti oneri non siano deducibili nella determinazione del reddito d’impresa che concorre a formare il reddito complessivo.
Sono poi previste ulteriori deduzioni (erogazioni liberali in denaro a favore dello Stato, di altri enti pubblici e di associazioni e di fondazioni private legalmente riconosciute, le quali, senza scopo di lucro, svolgono o promuovono attività dirette alla tutela del patrimonio ambientale o a favore di organismi di gestione di parchi e riserve naturali, terrestri e marittimi, statali e regionali, e di ogni altra zona di tutela speciale paesistico- ambientale o, ancore, spese sostenute dai soggetti obbligati alla manutenzione e alla protezione degli
immobili vincolati).
Si segnala inoltre, che con la legge di Stabilità 2015 si è innalzata dal 5% al 77,74% la quota imponibile degli utili percepiti, anche nell’esercizio d’impresa, dagli enti non commerciali.
Le nuove norme In base alle nuove norme, si avrà un quadro molto più definito ai fini della determinazione del reddito degli enti non commerciali.
Infatti, la nuova disciplina prevede che le attività svolte dagli enti del Terzo settore, ivi incluse quelle accreditate o contrattualizzate o convenzionate con le amministrazioni pubbliche, l’Unione europea, amministrazioni pubbliche straniere o altri organismi pubblici di diritto internazionale, si considerano di natura non commerciale quando le stesse sono svolte a titolo gratuito o dietro versamento di corrispettivi che non superano i costi effettivi, tenuto anche conto degli apporti economici degli enti e salvo eventuali importi di partecipazione alla spesa previsti dall’ordinamento.
Ai fini del calcolo del costo effettivo si tiene conto anche del valore normale delle attività di volontariato e delle erogazioni gratuite di beni o servizi.
Inoltre, sono considerate non commerciali, le attività di ricerca scientifica di particolare interesse sociale:
a) se svolte direttamente dagli enti no profit la cui finalità principale consiste nello svolgere attività di ricerca scientifica di particolare interesse sociale e purché tutti gli utili siano interamente reinvestiti nelle attività di ricerca e nella diffusione gratuita dei loro risultati e non vi sia alcun accesso preferenziale da parte di altri soggetti privati alle capacità di ricerca dell’ente medesimo nonché ai risultati prodotti;
b) affidate dagli enti no profit ad università e altri organismi di ricerca che la svolgono direttamente in ambiti e secondo modalità con il D.P.R. n. 135/2003.
Non concorrono, in ogni caso, alla formazione del reddito degli enti del Terzo settore:
a) i fondi pervenuti a seguito di raccolte pubbliche effettuate occasionalmente anche mediante offerte di beni di modico valore o di servizi ai sovventori, nonché in concomitanza di celebrazioni, ricorrenze o campagne
di sensibilizzazione;
b) i contributi e gli apporti erogati da parte delle amministrazioni pubbliche per lo svolgimento delle attività
di cui sopra.
Si considerano non commerciali gli enti del terzo settore che svolgono in via esclusiva o prevalente le attività previste dal nuovo decreto in conformità ai criteri indicati sopra.
Indipendentemente dalle previsioni statutarie gli enti del terzo settore assumono la qualifica di enti commerciali qualora i proventi delle attività, svolte in forma d’impresa non in conformità ai criteri sopra indicati, nonché le attività diverse da quelle appositamente previste dalle nuove disposizioni, fatta eccezione per le attività di sponsorizzazione svolte nel rispetto dei criteri previsti dall’art. 6 del decreto, superano, nel medesimo periodo d’imposta, le entrate derivanti da attività non commerciali, intendendo per queste ultime i contributi, le sovvenzioni, le liberalità, le quote associative dell'ente e ogni altra entrata assimilabile alle precedenti, ivi compresi i proventi e le entrate considerate non commerciali tenuto conto altresì del valore normale delle cessioni o prestazioni afferenti le attività non commerciali.
L'attività secondaria non muta la natura non commerciale dell'ente, anche se esercitata con modalità commerciali, se svolta secondo i criteri indicati in un apposito decreto ministeriale.Il mutamento della qualifica opera a partire dal periodo d’imposta in cui l’ente assume natura commerciale.
Si considera non commerciale l’attività svolta dalle associazioni del Terzo settore nei confronti dei propri associati, in conformità alle finalità istituzionali dell’ente.
Non concorrono alla formazione del reddito delle associazioni del Terzo settore le somme versate dagli associati a titolo di quote o contributi associativi. Si considerano, tuttavia, attività di natura commerciale le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate nei confronti degli associati verso pagamento di corrispettivi specifici, compresi i contributi e le quote supplementari determinati in funzione delle maggiori o diverse prestazioni alle quali danno diritto. Detti corrispettivi concorrono alla formazione del reddito complessivo come componenti del reddito di impresa o come redditi diversi a seconda che le relative operazioni abbiano carattere di abitualità o di occasionalità.
Il nuovo regime forfetario
Una ulteriore novità riguarda l’introduzione di una modalità di determinazione del reddito in maniera forfetaria. A dire il vero, attualmente è già prevista per gli enti non commerciali ammessi alla contabilità semplificata la possibilità di optare per la determinazione forfetaria del reddito d’impresa, applicando all’ammontare dei ricavi conseguiti nell’esercizio di attività commerciali un coefficiente di redditività corrispondente alla classe di appartenenza.
In particolare:
– per le attività di prestazione di servizi:
1) con ricavi fino a 15.493,71 euro, si applica il coefficiente del 15%;
2) con ricavi da 15.493,71 a 309.874,14 euro, si applica il coefficiente del 25%; – per le altre attività:
1) con ricavi fino a 25.822,84 euro, si applica il coefficiente del 10%;
2) con ricavi da 25.822,84 fino a 516.456,90 euro, si applica il coefficiente del 15%.
La nuova norma, invece, ha carattere più generale.
Infatti prevede che gli enti del Terzo settore possano optare per la determinazione del reddito d’impresa applicando all’ammontare dei ricavi conseguiti nell’esercizio delle attività “istituzionali” quando svolte con modalità commerciali, un coefficiente di redditività e aggiungendo l’ammontare delle plusvalenze patrimoniali (art. 86 TUIR), sopravvenienze attive (art. 88), dividendi e interessi (art. 89) e proventi immobiliari (art. 90).
I coefficienti sono:
a). attività di prestazioni di servizi:
– ricavi fino a 130.000 euro, coefficiente 7%;
– ricavi da 130.001 a 300.000 euro, coefficiente 10%;
– ricavi oltre 300.000 euro, coefficiente 17%;
b) altre attività:
– ricavi fino a 130.000 euro, coefficiente 5%;
– ricavi da 130.001 a 300.000 euro, coefficiente 7%;
– ricavi oltre 300.000 euro, coefficiente 14%.
Per gli enti che esercitano contemporaneamente prestazioni di servizi ed altre attività il coefficiente si determina con riferimento all'ammontare dei ricavi relativi all’attività prevalente. In mancanza della distinta annotazione dei ricavi si considerano prevalenti le attività di prestazioni di servizi. L'opzione per il regime forfetario è esercitata nella dichiarazione annuale dei redditi (dichiarazione di variazione attività ai fini IVA per gli enti che decidono di intraprendere l’attività commerciale) ed ha effetto
dall'inizio del periodo d'imposta nel corso del quale è esercitata fino a quando non è revocata e comunque per un triennio. La revoca dell'opzione è effettuata nella dichiarazione annuale dei redditi ed ha effetto dall'inizio del periodo d'imposta nel corso del quale la dichiarazione stessa è presentata.
Infine, viene previsto che:
– i componenti positivi e negativi di reddito riferiti ad anni precedenti a quello da cui ha effetto il regime forfetario, la cui tassazione o deduzione è stata rinviata in conformità alle disposizioni del TUIR, che dispongono o consentono il rinvio, partecipano per le quote residue alla formazione del reddito dell'esercizio precedente a quello di efficacia del predetto regime;
– le perdite fiscali generatesi nei periodi d'imposta anteriori a quello da cui decorre il regime forfetario possono essere computate in diminuzione del reddito determinato ai sensi delle nuove disposizioni secondo le regole ordinarie stabilite dal TUIR;
– gli Enti che optano per la determinazione forfetaria del reddito di impresa in base alle regole sopra esposte sono esclusi dall’applicazione degli studi di settore, nonché degli indici sistematici di affidabilità che, come noto, prenderanno il posto degli studi di settore.