9 Nov 2024
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La legge di bilancio 2025 è stata criticata da molti osservatori per il contenuto scarsamente incisivo delle misure contenute nel testo.
Forti tensioni sono originate dai (pochissimi) fondi destinati al comparto sanitario pubblico (rispetto al PIL) e dalle inadeguate risorse per le altre misure sociali.
Molte risorse appaiono non strutturali e destinate a essere restituite ai soggetti incisi (le banche in particolare per le quali il contributo previsto nella legge di bilancio appare essere un mero anticipo finanziario e non una misura fiscale definitiva).
Sarebbe necessario prevedere nuove modalità stabili di riduzione delle spese che siano strutturali e non precarie.
Per ottenere questo risultato molto spesso i responsabili del Ministero dell’Economia e delle Finanze fanno ricorso alla minaccia di tagli lineari sui bilanci dei diversi ministeri.
Questa soluzione, seppur molto semplice nella sua applicazione aritmetica, è molto iniqua dal punto di vista degli equilibri sociali ed economici del Paese.
Infatti non ha alcun riguardo al tipo di spese che vengono tagliate, in quanto il taglio avviene proporzionalmente su tutti i capitoli di bilancio di ciascun ministero.
Ovviamente questo tipo di taglio è una misura disperata per cercare di ridurre le spese dello Stato in prossimità della scadenza per l’approvazione della legge di bilancio per l’anno successivo.
È chiaro che uno Stato moderno e funzionante dovrebbe fare ricorso a tagli di tipo chirurgico, dando seguito a quella che, utilizzando una terminologia anglosassone, viene definita “spending review”, in italiano revisione della spesa.
La differenza fra il taglio lineare e la revisione della spesa si sostanzia nella individuazione dei capitoli di spesa propri di ciascun ministero che risultano essere meno produttivi e meno rilevanti per la vita dei cittadini.
In sostanza si vanno a tagliare quelle spese che risultano essere inutili o sovrabbondanti o comunque riducibili in funzione dell’utilizzo di strumenti, di tecnologie, di modalità di esercizio o di procedure che consentano significativi risparmi rispetto alla spesa consumata nei precedenti esercizi.
La logica che sovraintende questo tipo di interventi è quella di migliorare l’efficienza e la produttività del sistema pubblico. Questo settore ha una produttività molto bassa, fatto 100 il miglior punteggio realizzabile, l’Italia si aggira tra 20 e 21 punti, secondo l’InCise (International Civil Service Effectiveness) una emanazione dell’Università di Oxford che valuta la produttività degli Stati. Questa situazione aggrava notevolmente le spese necessarie a erogare i servizi in favore dei cittadini, non riuscendo a contenere le spese in un ambito comparabile con quello degli altri Stati più avanzati.
Facendo riferimento a questi dati, per l’Italia la situazione della efficienza della spesa dello Stato è veramente molto deludente. Ancor più deludente è il fatto che negli ultimi decenni non si sia fatto molto per recuperare punti di efficienza nello stesso ambito.
Occorre quindi con assoluta urgenza prevedere un organo della Amministrazione della Stato, preferibilmente un Ministero specifico, da confermare di Governo in Governo, che abbia le competenze e i poteri per procedere ad una revisione profonda e attenta dei capitoli di spesa del bilancio dei Ministeri.
Con una applicazione sistemica e continua della revisione di spesa sarebbe possibile recuperare facilmente tra i 4 e i 6 miliardi circa di minori spese per ogni esercizio, secondo le previsioni degli uffici studi di diversi sindacati delle imprese.
Le risorse risparmiate potrebbero esser destinate ai comparti più in sofferenza come la sanità, la scuola, l’università, il sistema carcerario.
Un altro settore nel quale lo Stato dovrebbe investire è quello delle infrastrutture e il contrasto al dissesto territoriale.
Le due misure, previste dal PNRR, sono essenziali e interconnesse.
Le infrastrutture sono necessarie ad aumentare la produttività dell’intero Paese. Se un produttore riesce a migliorare i propri tempi di produzione di qualche minuto, ma la strada che deve percorrere per arrivare ai propri mercati di riferimento è sconnessa e non consente una rapida percorrenza, la produttività del produttore sarà assorbita dalla inadeguatezza della rete viaria, rendendo vano lo sforzo del privato.
Non solo le infrastrutture materiali vanno sviluppate e mantenute, ma anche le infrastrutture software.
Lo sviluppo della rete Internet, la possibilità di collegarsi alla rete sull’intero territorio nazionale, la informatizzazione della Pubblica amministrazione, soprattutto locale, sono altre aree ancora molto arretrate e che richiedono interventi significativi.
Allo stesso tempo il dissesto territoriale ha causato negli ultimi cinque anni miliardi di danni, con effetti sulle attività produttive e commerciali molto gravi, senza considerare i morti che ciascun fenomeno “anomalo” ha causato.
Purtroppo la variazione delle condizioni atmosferiche è un fatto innegabile.
Senza voler entrare nella polemica tra i sostenitori e gli oppositori del cambiamento climatico, ciò che deve essere considerato sono i danni provocati dagli eventi estremi, per contrastare i quali occorre innanzitutto intervenire sul territorio con opere che siano in grado di prevenire i danni causati da alluvioni, terremoti, siccità e piogge tropicali.
Ove si abbia riguardo anche solo agli edifici pubblici (scuole, ospedali, uffici pubblici, università, carceri ecc.) il lavoro che l’Italia dovrebbe affrontare è gigantesco. E se a questi interventi si sommassero anche quelli relativi alla prevenzione dei danni agli edifici privati, l’impresa appare titanica. Tuttavia, come sempre, una minaccia può essere trasformata in opportunità di sviluppo, utilizzando le risorse ingenti previste dal PNRR, da cui potrebbe aversi anche un significativo miglioramento del PIL nazionale e della produttività dell’intero sistema Paese.
Proprio per questo sorprende la lentezza e la scarsa rilevanza che su questi elementi viene posta dalla politica e dalla pubblica opinione. Lo sfruttamento delle risorse del PNRR, i cui interventi dovrebbero essere completati entro il 2026, dovrebbe essere il rovello di tutti i cittadini e la pressione che l’opinione pubblica dovrebbe esercitare sulla politica a tutti i livelli, dovrebbe rendere questo argomento il principale interesse per la politica stessa.
Non essendo sufficiente l’acquisizione delle risorse dalla UE, ma soprattutto la capacità realizzativa della Pubblica Amministrazione, quella che, con brutta espressione, viene definita la capacità di “messa a terra” dei progetti.
È proprio questa la macro fase dei progetti che preoccupa di più e che potrebbe fare perdere risorse e opportunità di sviluppo dell’intero Paese, l’incapacità di passare dal progetto all’opera finita, prevalentemente per ritardi burocratici, omissioni, sovrapposizione di competenze di enti diversi che rendono infiniti i tempi di realizzazione di specifici progetti.
Perdere questa occasione sarebbe un vero danno all’intero Paese e quindi ai singoli cittadini, per i quali una opportunità così significativa difficilmente potrebbe ripresentarsi nei prossimi decenni.
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