26 Ott 2024
Un recente studio di McKinsey Global Institute “A microscope on small businesses” prende in esame le micro, piccole e medie imprese (Pmi) che operano in diversi settori in 16 Paesi, compresa l’Italia.
La distinzione tra micro, piccole e medie imprese dipende da parametri definiti da varie istituzioni a livello internazionale (nel caso di specie dalla UE), questi parametri sono il numero dei dipendenti, il fatturato e il valore totale di bilancio.
Avendo riguardo al solo numero dei dipendenti, le micro imprese sono quelle che hanno meno di 10 dipendenti, quelle piccole hanno almeno 10 ma meno di 50 dipendenti ed infine quelle medie hanno almeno 50 ma meno di 250 dipendenti.
La struttura del mercato italiano è caratterizzato da imprese micro e piccole e da un discreto numero di imprese medie, pochissime le grandi imprese.
La colonna portante del sistema produttivo italiano non può evidentemente essere modificato in poco tempo, ma risente di alcune limitazioni che incidono significativamente sulla produttività delle imprese stesse.
Infatti dallo studio di McKinsey emerge che è il livello di produttività che distingue le grandi imprese dalle medio, piccole e micro imprese.
Ovviamente la variabile più rilevante si sostanzia nella disponibilità di capitali per svolgere attività di ricerca e sviluppo, formazione specialistica del personale e investimento in macchinari, attrezzature, impianti, licenze, brevetti ecc.. Le tre direttrici su cui prevalentemente si muove lo sviluppo della produttività aziendale sono infatti la ricerca e lo sviluppo, la formazione del personale e lo sviluppo interno o l’acquisto da terze economie di immobilizzazioni tecniche materiali e immateriali più progredite rispetto a quelle in uso nella catena produttiva dell’impresa.
Per comprimere questa differenza occorre rendere grandi le imprese medio piccole e micro, ma senza attendere lo sviluppo naturale delle dimensioni di ciascuna impresa, processo che richiederebbe molti decenni e di fatto farebbe arretrare il sistema produttivo nazionale rispetto ai concorrenti esteri. È necessario quindi associare le medie, piccole e micro imprese in aggregati più rilevanti.
Gli strumenti giuridici vi sono, i principali sono i consorzi e le reti di imprese, ma l’utilizzo a oggi molto scarso.
Allo stesso modo il legislatore ha ritenuto di disciplinare con favore le imprese in fase di start up in settori innovativi per sviluppare la ricerca e lo sviluppo della innovazione tecnologica nei settori più promettenti e a più alta redditività.
Malgrado l’introduzione di questi istituti, la capacità di sviluppo in settori innovativi del sistema Italia, sebbene i risultati siano stati significativi, non ha garantito quello sviluppo dell’intero sistema, che rimane ancorato a tecnologie non all’avanguardia. (cfr. “L’impatto occupazionale della filiera dell’innovazione italiana” realizzato da InnovUp, Assolombarda e Fondazione Ricerca e Imprenditorialità (R&I), con il contributo dell’Unione Industriali di Torino e di Confindustria Genova e presentato in occasione della Italian Tech Week a Torino nel 2023).
Solo un deciso passo verso l’utilizzo di questi strumenti, in particolare di quelli che consentano l’agglutinarsi delle micro piccole e medie imprese in enti più ampi e complessi e dotati di una capacità di raccolta di capitali più estesa, potrebbe consentire di far fare un salto tecnologico e produttivo all’intero sistema.
Lo Stato, per parte sua, dovrebbe continuare a sviluppare sistemi di facilitazione e sburocratizzazione dei percorsi amministrativi, che consentano alle imprese più innovative di risparmiare sui costi di gestione e di realizzazione di queste forme di aggregazione e raccolta di capitali.
Il Legislatore, inoltre, dovrebbe liberare i vincoli che impediscono lo sviluppo di settori particolarmente promettenti in termini di redditività e produttività, quali la biotecnologia, gli alimenti sintetici, la liberalizzazione di attività riservate di natura professionale e imprenditoriale.
La strada appare ancora molto lunga e non priva di ostacoli, ma solo il perseguimento deciso e indifferibile di questo percorso di crescita appare utile a consentire al sistema produttivo italiano di fare quel salto qualitativo e quantitativo che da troppi anni costringe il sistema Italia a perdere produttività ed efficienza rispetto alle imprese degli altri Paesi più sviluppati, che proprio per la loro capacità di migliorare costantemente questi indicatori aziendali, conquistano costantemente nuove fette di mercato.
Lo sviluppo della produttività aziendale è strettamente connesso anche alla possibilità di migliorare il trattamento economico delle risorse umane impiegate nelle imprese italiane, che da troppo tempo subiscono una compressione dei loro salari, in una spirale discendente ormai non più accettabile e che favorisce l’esodo delle migliori risorse verso economie che sappiano valorizzare in termini salariali, le competenze e le capacità.
Ma di questo torneremo a parlare in un successivo intervento.
Se sei interessato e vuoi saperne di più, contattaci ora!